Il pre-bunking è la soluzione alla disinformazione?

Alcuni ricercatori del Regno Unito hanno sperimentato con YouTube un nuovo metodo per combattere le fake news: mostrare brevi video informativi sulle tecniche più comuni di manipolazione delle informazioni. I risultati sono incoraggianti ma restano dubbi di natura etica
Prebunking cos'è la nuova soluzione alla disinformazione

Come impedire agli utenti di social media e servizi web di cadere nella trappola della disinformazione? Uno studio peer reviewed pubblicato dalle università di Cambridge e Bristol ha testato un nuovo metodo, soprannominato “pre-bunking”. I ricercatori hanno lavorato insieme a YouTube e Jigsaw (un’unità di Google che si occupa di costruire tool per giornalisti, attivisti e membri della società civile).

In cosa consiste il pre-bunking? Gli studiosi lo definiscono una “vaccinazione attitudinale”. L’esperimento condotto consiste nell’inserire negli slot pubblicitari di YouTube dei brevi video di novanta secondi circa per informare il pubblico delle più comuni tecniche di manipolazione utilizzate per far passare notizie false o fuorvianti: la manipolazione emotiva, le false dicotomie, lo scape-goating (ovvero il trovare un capro espiatorio). Dopo aver visto questi video informativi, simili ad annunci del servizio pubblico, i 30mila partecipanti all’esperimento hanno registrato una capacità di identificare informazioni false del 5% più elevata.

L’effetto positivo del pre-bunking sembra essere stato registrato su persone con diversi orientamenti politici, livelli di istruzione e tratti di personalità. I risultati incoraggianti hanno portato alcuni esperti a considerare il pre-bunking il metodo più scalabile per combattere la disinformazione. Invece che concentrarsi nello smentire o correggere la valanga di notizie false che circolano in ogni angolo di Internet, un approccio preventivo, focalizzato su macro-categorie o metodologie di diffusione delle fake news può risultare più efficace. 

Le attività di moderazione dei contenuti sulle piattaforme, come sappiamo, sono particolarmente delicate e impegnative, e richiedono un grande dispendio di risorse e lavoro umano. Il pre-bunking può quindi essere la soluzione? Jigsaw al momento sta lavorando a un progetto di localizzazione del metodo, con l’obiettivo di contrastare la retorica anti-immigrazione in Europa centrale e orientale.

Restano comunque dei dubbi sull’impostazione generale del metodo e sui suoi risvolti etici e politici. Sorge spontanea la domanda: chi decide cosa rientra nella categoria di “manipolazione” o “distorsione della realtà”? Il processo verrà lasciato in mano alle compagnie private come Google? O sarà appannaggio dei governi? Come si assicura un controllo democratico su questi processi? Uno strumento così delicato non rischia di finire nelle mani sbagliate? Le domande sono simili a quelle che ci si pone riguardo alle politiche di moderazione delle piattaforme, ma diventano ancora più pressanti dal momento che si parla di tecniche di influenza psicologica. Jon Roozenbeek, uno dei ricercatori che hanno guidato l’esperimento, insiste che il pre-bunking costituisce solo una parte della soluzione al problema della disinformazione, e dovrà essere essere accompagnato da sforzi trasversali anche in altre aree.